Categoria: News

 

Quando, dopo l’esplosione dell’epidemia, hanno richiesto medici volontari per far fronte alle esigenze degli ospedali, per un momento ho pensato di lanciarmi. Mi piaceva l’idea di tornare in prima linea, come da giovane medico in Africa, nella Protezione Civile, nel Soccorso Alpino… Per fortuna in me ha presto prevalso il buon senso: che uno psichiatra ultrasessantenne si offrisse per intubare ammalati era davvero troppo, anche per uno specialista in un campo che porta con sé qualche pregiudizio di bizzarria.

Così mi sono accomodato al posto che mi compete, nelle retrovie. E ho scoperto che era un ottimo punto di osservazione per riflettere con relativa calma su quanto stesse accadendo, una calma che i colleghi in prima linea probabilmente non potevano permettersi. Una prima osservazione è stata, in primo luogo, che non c’è stato, e non c’è solo il virus, in Italia. Che le persone continuano ad ammalarsi e a morire soprattutto per altre cause. Che le misure di confinamento personale sono anch’esse un fattore patogeno non da poco. Che fasce rilevanti della popolazione stavano soffrendo più di altre, e tra queste ci sono molti immigrati. E soprattutto che la comunicazione pubblica nel suo complesso non è stata, a mio parere, all’altezza della situazione.

Leggi Tutto Commenti (0) Visualizzazioni:: 5337

Categoria: News

 

Sono uno psichiatra sui generis. In precedenza mi sono specializzato e ho lavorato come pediatra, ho preso parte ad alcuni progetti di cooperazione in Africa e in Asia, occupandomi tra l’altro di grandi endemie, e ho sviluppato una certa sensibilità epidemiologica. Rientrato in Italia, dal 1989 lavoro nell’assistenza agli immigrati e continuo in questo campo a interessarmi di epidemiologia, di cui sono appassionato, in specie all’interno della nostra Società Italiana di Medicina delle Migrazioni.
In questi giorni di pandemia le mie due anime, quella psichiatrica e quella pediatrico-epidemiologica, si sono spesso incrociate, e hanno avuto diversi scambi d’opinione. Si sono fatte alcune idee. Intanto che quando si è deciso di chiudere la stalla, gran parte dei buoi era già scappata, ma di questo esse (le due anime) non si dolgono: era troppo difficile prendere misure drastiche in un paese democratico prima che il pericolo fosse davvero percepito dalla popolazione. Quando si è agito, il virus era verosimilmente già diffuso in un modo da non poter più essere arrestato ma solo, non senza difficoltà, contenuto.
Vivendo a Milano, e avendo colleghi e amici che vivono e lavorano nelle zone di focolaio epidemico, ho compreso dai primi momenti che il numero delle diagnosi era ampiamente sottovalutato. Tante tra queste persone a me care, benché a casa con un tipico quadro clinico da Covid-19 e un’anamnesi di contagio pressoché sicuro, non erano state diagnosticate con il tampone, e così i loro familiari sintomatici.

Mi sono presto immaginato che il reale numero degli infetti andasse probabilmente moltiplicato per dieci rispetto ai dati ufficiali. A qualche collega il tampone diagnostico è stato fatto solo prima di riammetterlo al lavoro in ospedale, a oltre un mese dal contagio e dopo due-tre settimane dall’esordio della sintomatologia, rientrando, se positivo, tra i cosiddetti “nuovi contagiati” almeno un mese dopo il contagio effettivo. I dati ufficiali dunque valevano poco, e il virus era verosimilmente molto diffuso, almeno in Lombardia. Queste mie impressioni aneddotiche sono andate via via confermandosi dagli studi che vengono pubblicati in questi giorni. In uno recentissimo sul British Medical Journal si dice che addirittura i casi asintomatici arriverebbero all’80% del totale (Day, 2020): casi che senza ricerche specifiche non sono identificati.
Le prime misure decise dal governo mi sono dunque sembrate sagge e appropriate: avevano lo scopo di rallentare la curva epidemica per consentire alle strutture sanitarie di far fronte ai ricoveri, salvaguardando nei limiti del possibile il benessere individuale e l’economia del paese. Per la salute fisica e psichica della popolazione era utile consentire in sicurezza l’attività motoria all’aperto e mantenere in funzione il paese, anche nelle sue risorse produttive.
A volte la mancata chiusura delle aziende è stata stigmatizzata come un modo di privilegiare denaro e interessi economici rispetto alla vita delle persone. Non è così. Circa 40 anni fa un violento terremoto distrusse un’ampia parte del nostro Friuli; la decisione fu di ricostruire e mettere in funzione le fabbriche prima delle case. Non per amore del capitalismo, ma perché le comunità si costruiscono attorno al lavoro. Quella scelta fu una delle ragioni della rapida ripresa di quei territori.

Leggi Tutto Commenti (0) Visualizzazioni:: 9913

Categorie: News Tavolo Asilo e Immigrazione

 

La SIMM insieme alle altre Associazioni presenti nel Tavolo Asilo Nazionale ha pubblicato il 9 aprile 2020 questo comunicato stampa per esprimere forte preoccupazione con la decisione del governo italiano di dichiarare che l’Italia non è più un porto sicuro per le navi straniere che nel Mediterraneo soccorrono i migranti.

"Le Associazioni del Tavolo Asilo Nazionale manifestano la propria preoccupazione per il Decreto Interministeriale emesso lo scorso 7 Aprile 2020 n. 150 in cui il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti di concerto con altri Ministri, dichiara che per l’intero periodo dell’emergenza sanitaria nazionale i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Porto Sicuro (Place of Safety) solo per le navi soccorritrici battenti bandiera straniera che abbiano soccorso esseri umani fuori dalle nostre acque SAR.

La dichiarazione appare inopportuna e non giustificabile in quanto con un atto amministrativo, di natura secondaria, viene sospeso il Diritto Internazionale, di grado superiore, sfuggendo così ai propri doveri inderogabili di soccorso nei confronti di chi è in pericolo di vita.
Si attacca ancora una volta il concetto internazionale di Porto Sicuro, la cui affermazione ha trovato conferma nelle decisioni della nostra Magistratura.

Pur consapevoli del momento complesso che ci troviamo ad affrontare, è importante garantire il rispetto dei principi di solidarietà e di umano soccorso, che non possono essere negati sulla base di tesi opinabili che riguardano la competenza nei soccorsi in mare ed il luogo in cui vadano condotti esseri umani in pericolo di vita.

E’ opportuno sottolineare che il Ministero della Salute attraverso l’USMAF si è già attrezzato per la quarantena delle Navi che hanno soccorso migranti ed ha già disposto delle linee Guida.
Inoltre è essenziale ribadire che l’Autorità preposta ad intervenire nei soccorsi è l’MRCC che riceve per primo la richiesta di coordinamento e non l’Autorità di bandiera.

Le Associazioni del Tavolo Asilo Nazionale ribadiscono che, anche in questo momento difficile per l’Italia, la Libia è un paese in guerra, dove i migranti sono oggetto di torture e schiavitù.
Attualmente la Alan Kurdi è al limite delle nostre acque nazionali in attesa che le venga assegnato un Porto Sicuro dalle nostre Autorità.
Le Associazioni del Tavolo Asilo Nazionale chiedono fermamente al Governo italiano di operare senza indugi in tal senso."

A Buon Diritto, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ARCI, Caritas Italiana, Centro Astalli, CNCA, Comunità papa Giovanni XXIII, Emergency, Europasilo, FCEI, Focus – Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Intersos, Médecins du Monde - missione Italia, Oxfam Italia, Save the Children Italia, SIMM - Società Italiana Medicina delle Migrazioni
del Tavolo Asilo Nazionale

Commenti (0) Visualizzazioni:: 3476

Ultime News

Hai trovato errori o refusi ti invitiamo a segnalarli al seguente link