Categorie: News Rubrica recensioni film

Io Capitano

anno: 2023             
regia: MATTEO GARRONE  
genere: drammatico     
con Moustapha Fall, Seydou Sarr
nazionalità: Italia, Belgio                    
voto: 8

 

 

"Firmeremo l'autografo ai bianchi". Non c'è la guerra, non ci sono le
persecuzioni politiche né quelle dovute all'orientamento sessuale. C'è
solo il miraggio di diventare piccole star della canzone in un'Europa
che somiglia tanto a Lamerica (ricordate il film di Gianni Amelio?) di
trent'anni fa. È lì che vogliono arrivare due sedicenni senegalesi,
Seydou (Sarr) e Moussa (Fall). Ma i sogni sono ben diversi dalla realtà
e la loro avventura si trasforma presto in un'odissea irta di
difficoltà, angosce, paure, torture, nel passaggio da Dakar alle ultime
propaggini della Sicilia, transitando per il deserto infuocato del
Sahara e i campi concentrazionari libici.
Ancora una volta Matteo Garrone (che ha scritto la sceneggiatura con
Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri) consolida il
suo posto nell'Olimpo dei registi italiani con un film potentissimo,
necessario, di quelli che dovrebbero essere imposti a Salvini con metodo
Ludovico e al ministro Piantedosi con posto in terza classe in uno di
quelle carrette del mare che tanto disprezza. Al di là dei contenuti,
peraltro ben noti a chi non si limiti a frequentare la luna o il
Papeete, il racconto ha una sua forza impressionante, stampata sul volto
del bravissimo protagonista, che regala allo spettatore un ventaglio
inesauribile di emozioni. Per ricostruire il viaggio impossibile dei due
ragazzi, Garrone sceglie la via della favola, accompagnata da qualche
scorcio onirico: un marker stilistico originale (Il racconto dei
racconti, Pinocchio) che funziona, ma che finisce col cedere qualcosa di
troppo a un happy ending al grido di "tutti salvi!".    

 

Stefano Nobile è un appassionato di cinema che scrive recensioni, per
puro diletto, da quasi trent'anni. Ne ha redatte più di cinquemila, metà
delle quali campeggiano sulle pagine web di FilmTV.it (con lo pseudonimo
di Barabbovich). Adora i film di Moretti, Wilder, Hitchcock, Eastwood e
Kubrick.
Laureato in sociologia, insegna Metodologia della ricerca sociale alla
Sapienza di Roma.

 

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Categorie: News Rubrica recensioni film

L'ordine delle cose    
anno: 2017     
regia: ANDREA SEGRE    
genere: drammatico     
con Paolo Pierobon, Giuseppe Battiston, Valentina Carnelutti, Olivier
Rabourdin, Fabrizio Ferracane, Yusra Warsama, Roberto Citran, Fausto
Russo Alesi, Hossein Taheri    
nazionalità: Italia, Libia   

 voto: 7,5

     
     

 

Gli italiani non ne possono più di sentir parlare di sbarchi sulle coste
siciliane, di clandestini, di un'Europa distratta. Così il
sottosegretario del Ministero degli Esteri (Russo Alesi) decide di
inviare in Libia Corrado Rinaldi (Pierobon) - un superpoliziotto
padovano solerte, preciso, affidabile e di poche parole - con il compito
di trattare con il governo libico affinché quest'ultimo provveda sia a
fermare le navi in rotta verso l'Italia che a sistemare la condizione
dei profughi in quegli hot spot che dovrebbero essere dei centri di
accoglienza ma che sono autentici lager. Rinaldi si troverà davanti a un
dilemma etico: salvare la vita di una profuga (Warsama) con cui è
entrato casualmente in più stretto contatto o assicurarsi che tutto
abbia un proprio ordine secondo direttiva?
Andrea Segre si conferma regista sobrio e talentuoso, un autentico
specialista sul tema dell'immigrazione che, dopo i due precedenti film
di finzione (Io sono Li e La prima neve), viene affrontato da una
prospettiva inedita nel nostro cinema. Ed è qui che Segre compie il suo
capolavoro: riuscire a raccontare senza fronzoli, né didascalismi, la
complessità del sistema che dovrebbe gestire il dramma dei profughi, tra
loschi interessi del governo libico, soldi tintinnanti elargiti non
sempre in maniera avveduta dall'Unione Europea, gestione dei cosiddetti
centri di accoglienza e sedazione dell'opinione pubblica. Arriva così a
realizzare un'opera importante e necessaria, grazie a un'ottima scelta
di cast (Pierobon è perfettamente in parte), a un ritmo controllato ma
tutt'altro che sonnolento e a una declinazione delle diverse situazioni
che non scivola mai nella caricatura né tanto meno nel giudizio affrettato.  

 

Stefano Nobile è un appassionato di cinema che scrive recensioni, per
puro diletto, da quasi trent'anni. Ne ha redatte più di cinquemila, metà
delle quali campeggiano sulle pagine web di FilmTV.it (con lo pseudonimo
di Barabbovich). Adora i film di Moretti, Wilder, Hitchcock, Eastwood e
Kubrick.
Laureato in sociologia, insegna Metodologia della ricerca sociale alla
Sapienza di Roma.

 

 

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Categorie: SIMM Rubrica recensioni film

The Old Oak

Anno: 2023

Regia: KEN LOACH

Genere: drammatico

Con Dave Turner, Ebla Mari, Chrissie Robinson, Jen Patterson, Joe Armstrong, Maxie Peters, Col Tait

Nazionalità: Regno Unito, Francia, Belgio

Voto: 8,5

 

 

Inghilterra del Nord, 2016. In una di quelle cittadine messe in ginocchio dalle politiche neoliberiste thatcheriane - un passato imperniato su una miniera ormai chiusa - arrivano alcuni rifugiati siriani. L'unico ritrovo del luogo è un vecchio pub fatiscente, gestito da TJ Ballantyne (Turner, sublime). Alcuni uomini del posto vorrebbero usarne il retrobottega, ormai abbandonato da anni, per tenervi una riunione in cui decidere come mettere a posto i nuovi arrivati. Un'operatrice umanitaria, insieme a una giovane fotografa siriana (Mari), vorrebbero invece trasformarlo in un luogo d'incontro nel quale la popolazione locale possa mescolarsi ai profughi, perché mangiare insieme è un'occasione per conoscersi ed entrare in relazione. Quando TJ decide di imboccare questa seconda strada, alcuni degli autoctoni cercheranno di sabotare l'iniziativa.

Preparate i fazzoletti, perché a 87 anni Ken Loach firma una delle sue opere più struggenti e toccanti, tenendo sempre altissima l'asticella dell'impegno sociopolitico. Il suo è un cinema refrattario al virtuosismo, eppure elegante, di un verismo mai posticcio (merito di un cast in stato di grazia), profondissimo, agile, anche grazie al consueto appoggio in fase di sceneggiatura del fido Paul Laverty. Qui la lotta di classe di molti suoi capolavori precedenti (da Riff Raff a Sorry We Missed You) diventa uno scontro tra poverissimi inermi e poveri incattiviti e xenofobi, peraltro avvezzi all'uso moltiplicatorio delle loro torbide passioni sovraniste attraverso i social. Nonostante ciò, la vecchia quercia del cinema britannico sembra cercare nell'intesa tra il gestore del pub e la fotografa siriana un motivo di speranza, che però nel cinema di "Ken il rosso" si fa flebile quanto la tenuta delle lettere dell'insegna del pub, ma che grazie a uomini e donne come lui ci lascia confidare in un futuro più umano e solidale. Al regista inglese non si possono che augurare altri cent'anni di vita e altri millanta film, ma è certo che quando Loach non ci sarà più, il mondo sarà un posto peggiore nel quale vivere.

 

Stefano Nobile è un appassionato di cinema che scrive recensioni, per
puro diletto, da quasi trent'anni. Ne ha redatte più di cinquemila, metà
delle quali campeggiano sulle pagine web di FilmTV.it (con lo pseudonimo
di Barabbovich). Adora i film di Moretti, Wilder, Hitchcock, Eastwood e
Kubrick.
Laureato in sociologia, insegna Metodologia della ricerca sociale alla
Sapienza di Roma.

 

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