Rubrica recensioni film

Categorie: SIMM Rubrica recensioni film

The Old Oak

Anno: 2023

Regia: KEN LOACH

Genere: drammatico

Con Dave Turner, Ebla Mari, Chrissie Robinson, Jen Patterson, Joe Armstrong, Maxie Peters, Col Tait

Nazionalità: Regno Unito, Francia, Belgio

Voto: 8,5

 

 

Inghilterra del Nord, 2016. In una di quelle cittadine messe in ginocchio dalle politiche neoliberiste thatcheriane - un passato imperniato su una miniera ormai chiusa - arrivano alcuni rifugiati siriani. L'unico ritrovo del luogo è un vecchio pub fatiscente, gestito da TJ Ballantyne (Turner, sublime). Alcuni uomini del posto vorrebbero usarne il retrobottega, ormai abbandonato da anni, per tenervi una riunione in cui decidere come mettere a posto i nuovi arrivati. Un'operatrice umanitaria, insieme a una giovane fotografa siriana (Mari), vorrebbero invece trasformarlo in un luogo d'incontro nel quale la popolazione locale possa mescolarsi ai profughi, perché mangiare insieme è un'occasione per conoscersi ed entrare in relazione. Quando TJ decide di imboccare questa seconda strada, alcuni degli autoctoni cercheranno di sabotare l'iniziativa.

Preparate i fazzoletti, perché a 87 anni Ken Loach firma una delle sue opere più struggenti e toccanti, tenendo sempre altissima l'asticella dell'impegno sociopolitico. Il suo è un cinema refrattario al virtuosismo, eppure elegante, di un verismo mai posticcio (merito di un cast in stato di grazia), profondissimo, agile, anche grazie al consueto appoggio in fase di sceneggiatura del fido Paul Laverty. Qui la lotta di classe di molti suoi capolavori precedenti (da Riff Raff a Sorry We Missed You) diventa uno scontro tra poverissimi inermi e poveri incattiviti e xenofobi, peraltro avvezzi all'uso moltiplicatorio delle loro torbide passioni sovraniste attraverso i social. Nonostante ciò, la vecchia quercia del cinema britannico sembra cercare nell'intesa tra il gestore del pub e la fotografa siriana un motivo di speranza, che però nel cinema di "Ken il rosso" si fa flebile quanto la tenuta delle lettere dell'insegna del pub, ma che grazie a uomini e donne come lui ci lascia confidare in un futuro più umano e solidale. Al regista inglese non si possono che augurare altri cent'anni di vita e altri millanta film, ma è certo che quando Loach non ci sarà più, il mondo sarà un posto peggiore nel quale vivere.

 

Stefano Nobile è un appassionato di cinema che scrive recensioni, per
puro diletto, da quasi trent'anni. Ne ha redatte più di cinquemila, metà
delle quali campeggiano sulle pagine web di FilmTV.it (con lo pseudonimo
di Barabbovich). Adora i film di Moretti, Wilder, Hitchcock, Eastwood e
Kubrick.
Laureato in sociologia, insegna Metodologia della ricerca sociale alla
Sapienza di Roma.

 

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Welcome

Anno: 2009

Regia: LIORET, PHILIPPE

Genere: drammatico

Con Vincent Lindon, Firat Ayverdi, Audrey Dana, Derya Ayverdi, Thierry Godard, Selim Akgül, Firat Celik, Murat Subasi, Olivier Rabourdin, Yannick Renier, Mouafaq Rushdie, Behi Djanati Ataï, Patrick Ligardes, Jean-Pol Brissart, Blandine Pélissier

Nazionalità: Francia

Voto: 9

 

 

 

Bilal (Ayverdi) è un 17enne iracheno di etnia curda. Ha già fatto 4000 chilometri per raggiungere la sua ragazza in Inghilterra ma non riesce a superare Calais, uno dei punti della costa francese più vicini alla Gran Bretagna. Allora decide di attraversare la Manica a nuoto, e per allenarsi si rivolge a Simon (Lindon), maestro di nuoto, che a differenza di Bilal non è stato neppure capace di attraversare la strada per fermare la moglie che gli ha chiesto il divorzio (Dana) e che fa la volontaria a difesa dei clandestini. Tra allenamenti in piscina, incomprensioni e convivenza, tra Bilal e Simon nasce un rapporto filiale. Ma Bilal non intende rinunciare ai suoi propositi.

Terzo film di Philippe Lioret, che fotografa senza alcuna concessione alla retorica un dramma iperrealista sui sans papiers stretti nella morsa delle ferree leggi fortemente volute da Sarkozy per combattere la clandestinità. Il tema si inserisce in un filone che - segno dei tempi - si sta progressivamente ingrossando (Traffic, Riparo, Machan, L'ospite inatteso, Frozen River, solo per citare i più noti): Lioret lo incapsula nella filigrana di due storie d'amore agli antipodi, facendone un'opera senza fronzoli, essenziale, necessaria, per raccontare la faccia truce di quest'epoca xenofoba, in cui il razzismo si camuffa nell'ipocrisia dello zerbino di casa, dove campeggia la scritta "welcome". Benvenuti

 

 

Stefano Nobile è un appassionato di cinema che scrive recensioni, per
puro diletto, da quasi trent'anni. Ne ha redatte più di cinquemila, metà
delle quali campeggiano sulle pagine web di FilmTV.it (con lo pseudonimo
di Barabbovich). Adora i film di Moretti, Wilder, Hitchcock, Eastwood e
Kubrick.
Laureato in sociologia, insegna Metodologia della ricerca sociale alla
Sapienza di Roma.

 

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Io Capitano

anno: 2023             
regia: MATTEO GARRONE  
genere: drammatico     
con Moustapha Fall, Seydou Sarr
nazionalità: Italia, Belgio                    
voto: 8

 

 

"Firmeremo l'autografo ai bianchi". Non c'è la guerra, non ci sono le
persecuzioni politiche né quelle dovute all'orientamento sessuale. C'è
solo il miraggio di diventare piccole star della canzone in un'Europa
che somiglia tanto a Lamerica (ricordate il film di Gianni Amelio?) di
trent'anni fa. È lì che vogliono arrivare due sedicenni senegalesi,
Seydou (Sarr) e Moussa (Fall). Ma i sogni sono ben diversi dalla realtà
e la loro avventura si trasforma presto in un'odissea irta di
difficoltà, angosce, paure, torture, nel passaggio da Dakar alle ultime
propaggini della Sicilia, transitando per il deserto infuocato del
Sahara e i campi concentrazionari libici.
Ancora una volta Matteo Garrone (che ha scritto la sceneggiatura con
Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri) consolida il
suo posto nell'Olimpo dei registi italiani con un film potentissimo,
necessario, di quelli che dovrebbero essere imposti a Salvini con metodo
Ludovico e al ministro Piantedosi con posto in terza classe in uno di
quelle carrette del mare che tanto disprezza. Al di là dei contenuti,
peraltro ben noti a chi non si limiti a frequentare la luna o il
Papeete, il racconto ha una sua forza impressionante, stampata sul volto
del bravissimo protagonista, che regala allo spettatore un ventaglio
inesauribile di emozioni. Per ricostruire il viaggio impossibile dei due
ragazzi, Garrone sceglie la via della favola, accompagnata da qualche
scorcio onirico: un marker stilistico originale (Il racconto dei
racconti, Pinocchio) che funziona, ma che finisce col cedere qualcosa di
troppo a un happy ending al grido di "tutti salvi!".    

 

Stefano Nobile è un appassionato di cinema che scrive recensioni, per
puro diletto, da quasi trent'anni. Ne ha redatte più di cinquemila, metà
delle quali campeggiano sulle pagine web di FilmTV.it (con lo pseudonimo
di Barabbovich). Adora i film di Moretti, Wilder, Hitchcock, Eastwood e
Kubrick.
Laureato in sociologia, insegna Metodologia della ricerca sociale alla
Sapienza di Roma.

 

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