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In un momento ancora una volta complesso, in cui è stato necessario riprendere i principi deontologici ed etici che sottendono lo svolgere della professione medica in scienza e coscienza, come Gruppo di Lavoro Minori Migranti della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, ci preme riportare l’attenzione su una delle questioni più urgenti nel percorso di accoglienza che riguarda i più vulnerabili tra i vulnerabili, i minori stranieri non accompagnati. Il riconoscimento della condizione di minorenne per bambini e adolescenti che arrivano in Italia da soli, senza genitori o figure adulte di riferimento costituisce il presupposto essenziale affinché siano loro applicate le misure di protezione e assistenza previste dalla normativa vigente (Legge 47 del 7 Aprile del 2017, la prima in Europa), tra cui il diritto ad essere accolti in strutture per minori, ad avere un tutore, a non essere espulsi né trattenuti. Attualmente, in Italia, l’accertamento dell’età dei minori non accompagnati è disciplinato sulla base dell’accordo stipulato in sede di Conferenza Stato - Regioni e Province Autonome del 9 Luglio 2020 che ha approvato in via definitiva il documento denominato “Protocollo multidisciplinare per l’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati al fine di uniformare le prassi su tutto il territorio nazionale e superare eventuali discrezionalità.

Il Protocollo, ispirato alsupremo interesse” del minore (Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, del 1989 e ratificata con legge in Italia nel 1991) si propone l’obiettivo di superare, relativamente alla parte socio-sanitaria, le disomogeneità ancora rilevate a livello nazionale sull’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati e prevede che questo sia eseguito a carico del Sistema Sanitario Nazionale da equipe multidisciplinari con competenze specifiche, composte da un assistente sociale, uno psicologo dell’età evolutiva e/o NPI,  un pediatra e alla presenza costante di un mediatore culturale. L’approccio prevede l’intervento dei vari professionisti, in step successivi, e richiede che il presunto minore, così come il suo tutore, sia  consapevole della procedura cui viene sottoposto. La valutazione auxologica e quella eventualmente strumentale da parte del pediatra seguono alla valutazione psico-sociale e sono a supporto ma non dirimenti. Quindi, la relazione finale deve essere collegiale al fine, soprattutto, di ridurre il margine di errore (che va sempre riportato) nella stima di un’età che non sarà mai certa.

È importante ricordare che la Legge 47/2017 e il Protocollo multidisciplinare del 2020 raccomandano l’avvio della procedura per la determinazione dell’età di un presunto minore dopo aver garantito una prima accoglienza (non certamente al momento dello sbarco e in fase di rintraccio sul territorio nazionale), solo quando persista un fondato dubbio su quanto dichiarato dallo stesso e come extrema ratio dopo l’esecuzione delle possibili pratiche d’identificazione. Si ribadisce ancora una volta che il ricorso agli accertamenti strumentali, e in particolare alla radiografia del polso-mano sinistra (o altro), si configura come un’ulteriore extrema ratio nel caso in cui alla fine della valutazione collegiale dovesse persistere un dubbio da parte di tutta l’équipe multidisciplinare.

Tale procedura, condivisa in Conferenza Stato-Regioni e Provincie Autonome, già oggetto di monitoraggio per la sua corretta applicazione, dovrebbe essere implementata su tutto il territorio nazionale. A tal proposito, altrettanto fondamentale risulta la periodica formazione di tutti i soggetti coinvolti nel percorso di determinazione dell’età a partire dalle Forze dell’Ordine, che intercettano il presunto minore all’arrivo in Italia, all’Autorità Giudiziaria di competenza che dispone l’accertamento, ai tutori legali dei minori e ai professionisti socio-sanitari.

Il ricorso a procedure che nella sostanza si allontanino da tale percorso rappresenta un vulnus per il minore oltre che esporre l’esito dell’accertamento al rischio di impugnazione, in sede legale, con conseguente dispendio di risorse umane ed economiche.

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La Convenzione dei diritti del fanciullo (del 1989, ratificata con legge in Italia nel 1991) sancisce che a ogni minore, indipendentemente dallo status giuridico dei genitori, “devono essere assicurate la protezione e le cure necessarie al suo benessere”.

Il quadro normativo nazionale tutela la salute dei bambini e adolescenti stranieri, tenendo conto sia delle politiche attive di inclusione sociale, sia dell’accessibilità dei servizi sanitari. Nello specifico i LEA (DPCM 2017) assicurano a tutti i minori stranieri extracomunitari, non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, l’Iscrizione al Sistema Sanitario Nazionale compresa l’assistenza del Pediatra di Libera Scelta, al pari dei bambini italiani.

Ad oggi, i due più importanti ostacoli burocratico-amministrativi all’applicazione di tale normativa -la mancata assegnazione del Codice Fiscale e il mancato Codice di esenzione- sono stati superati rispettivamente da una Circolare dell’Agenzia delle Entrate e da una nota del Ministero della Salute. Nonostante ciò, molti di questi bambini non possono ancora godere della presa in carico continuativa di un Pediatra di Libera Scelta, che fornisca loro, oltre alla diagnosi e cura precoce delle patologie, un’attività di screening e prevenzione nonché di educazione sanitaria dei genitori. A questo si aggiunge la situazione normativa ancora incerta relativa ai minori comunitari.

La SIMM, che da più di vent’anni si occupa attivamente di questo ambito, continua la sua azione di monitoraggio e di advocacy, volta all'applicazione della normativa vigente e alla tutela della salute di questi bambini e adolescenti destinati perlopiù a diventare parte integrante della nostra società di domani.


L'approfondimento nell'articolo su Vita.it

 

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