Pochi giorni fa é scomparso Enrico Nunzi, uno dei soci fondatori della SIMM, leprologo di fama internazionale, da sempre sulla breccia in progetti per aiutare i più poveri. In Africa, in America Latina, in Italia.
Per me però al di la dei titoli e delle imprese se ne va un amico. Un amico con cui ho discusso molto, ho litigato molto, ma a cui mi sono sentito molto legato, sempre. L’amicizia non è condividere il consenso, ma i sogni, le speranze, le nobili gesta,
Lo conobbi credo nel 1986 o giú di li. All’epoca aveva a Genova la cattedra di Dermatologia. Aveva scelto questa specialità perché’ folgorato dall’incontro con Raoul Follerau, l’amico dei lebbrosi. E la lebbra si studia a dermatologia. La lebbra fu il suo cruccio, il suo campo di ricerca, la sua battaglia e i malati del morbo di Hansen, i suoi amici, la sua casa, la sua vita.
Come scienziato era riconosciuto a livello internazionale, un suo manuale di di Leprologia, è un must nel campo.
Al San Martino di Genova, dove dirigeva il reparto di Hanseniasi, nell’antico lebbrosario, aveva creato una casa, un ambiente unico, con infermieri, medici e pazienti tutti formanti un’unica comunità.
Invidiava Padre Damiano, il santo che dedicò la sua vita alla lebbra, perché questi era divenuto lebbroso e solo così, diceva Enrico, si possono capire i malati. Solo essendo uno di loro.
Riceveva richieste di consulenza per la conferma di diagnosi di morbo di Hansen da tutta Italia.
Aveva una mentalità francescana, visse da povero e fu povero. Un francescano emiliano, Enrico era di Sissa vicino a Parma, audace , coraggioso e allegro.
Quando si pensionò in Italia, venne a raggiungermi in Ecuador, dove lavorammo insieme in un ospedale a Loja.
Ricordo che li, sulle Ande, dopo pranzo, ci sedevamo sulla porta della casa, lui tirava fuori i sigari toscanelli (preziosissimi) e lentamente si parlava di Africa, di malattie tropicali, di diagnosi. Alla fine gli chiesi che mi facesse lezioni di dermatologia e lì nel dopo pranzo, mi insegnava la dermatologia, unico alunno, di una cattedra senza università.
Ma parlare di Nunzi è ricordare una serie di amici (che gli amici si selezionano tra loro) indimenticabili che ci hanno lasciato. Il Gatti lo scopritore del Cryptococcus neoformans o C. gattii ; Travaglino, il direttore di un famoso lebbrosario in Eritrea. Amici con cui coincidevamo in certi momenti dell’anno. Con Travaglino poi fu leggendario quando con Enrico, due malati di lebbra e un giornalista tentammo l’assalto al Quirinale. Ossia: senza appuntamento e fuori di ogni protocollo cercammo di incontrarci con il Presidente della Repubblica Italiana per denunciare la situazione del morbo di Hansen in Italia. Il povero carabiniere che controllava gli accessi era sbalordito e preoccupato (lo stigma sulla lebbra è invincibile). La cosa incredibile è che dopo ore di negoziazioni con vari notabili di palazzo riuscimmo a penetrare nel Quirinale e ad incontrarci con il numero 2, ma il Presidente non c’era.
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Con Enrico non ci sentivamo da tempo, ma mi mandò un messaggio prima di entrare in Ospedale, al San Martino, dove mori dopo 5 giorni. Lo stesso ospedale dove aveva lavorato per tanti anni.
Credo che mi volesse salutare. Lo chiamai. Aveva la dispnea. Ero afflitto, di sentirlo così. Gli dissi di resistere perché ci stavano lasciando tutti gli amici. Mi disse, “non ti preoccupare. Si combatte.” Nella sua fede cristiana che è la mia fede, so che è un breve distanziarsi. Ma resta il doloro amaro e agro come in ogni partenza.
Riccardo Colasanti
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