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Care socie e soci della S.I.M.M.,
quasi ogni giorno accadono fatti che, in qualche modo, ci interrogano come comunità scientifica, sociale e culturale impegnata nel riconoscimento della dignità di tutte le persone, con particolare riferimento alla salute dei migranti.
Alcuni di questi accadimenti, spesso drammatici, si caricano anche di una valenza simbolica che, crediamo, richiami le questioni più radicali (cioè alla radice) dei nostri valori di riferimento e della nostra convivenza.
Siamo convinti che il ‘caso Mimmo Lucano’ sia uno di questi. Dopo esserci presi qualche giorno per avere il tempo di approfondire quanto è collegato alla sentenza che il Tribunale di Locri ha emesso il 30 settembre scorso (in particolare attraverso la lettura dell’ultimo numero del settimanale ‘Internazionale’ dell’8/14 ottobre) ed esserci confrontati, abbiamo deciso di scrivervi per comunicarvi – e condividere – quanto ci sembra di percepire.
Non è evidentemente nostra intenzione entrare nel merito tecnico-giuridico dei reati imputati a quello che in anni passati abbiamo conosciuto come il coraggioso sindaco di Riace (ruolo che ha ricoperto dal 2004 al 2018), in quanto non ne saremmo competenti e devierebbe dal focus della nostra riflessione. Per chi non avesse avuto modo di prenderne nota (e comunque in attesa di poter conoscere le motivazioni della sentenza quando verrà depositata) ci limiteremo ad elencarli: associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare; abuso d’ufficio; truffa; concussione; peculato; turbativa d’asta; falso ideologico. Ciò gli è valso una condanna a tredici anni e due mesi di carcere (una pena doppia rispetto a quella richiesta dall’accusa), nonché l’imposizione di restituire 500.000 € di fondi europei (su quest’ultimo aspetto, non indifferente, desideriamo sottolineare che altre precedenti sentenze - e la stessa ultima Procura che lo ha giudicato - avevano escluso l’acquisizione da parte del sindaco di un vantaggio personale e che in un recente articolo si riferiva del fatto che sul suo conto bancario fossero depositati ben 9 euro!). Il nostro amico dell’ASGI Gianfranco Schiavone ha commentato come in questa sentenza vi sia una sovrapposizione tra il piano degli illeciti amministrativi e di quelli penali e, come altri, ha fatto notare che la pena inflitta a Lucano sia simile a quella comminata a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati (i due protagonisti dello scandalo che ha travolto nel 2014 il sistema di accoglienza e protezione a Roma), per i quali lo scopo di lucro era innegabile; altri commentatori, invece, a sottolineare l’abnormità della pena (frutto di una somma aritmetica dei reati), hanno ricordato la minor entità di quella inflitta a Luca Traini, l’uomo che nel febbraio 2018, a Macerata, sparò a sei migranti presi a caso ferendoli, cioè dodici anni.
Sorvoleremo anche sui tanti dubbi relativi alle anomalie dell’indagine con riferimento all’uso indiscriminato delle intercettazioni, alla inesattezza delle loro trascrizioni, alla ritrattazione di testimoni chiave e all’aver ignorato le precedenti sentenze, rimandando al bell’articolo di Annalisa Camilli sul già citato numero di Internazionale.
Non stiamo evidentemente escludendo e negando - come non lo ha fatto lo stesso protagonista della vicenda Mimmo Lucano in numerose occasioni di interviste, rivendicandone in qualche modo la giustificazione morale - che, stante a quanto emerso, nell’organizzare l’accoglienza dei migranti a Riace, come reazione ai ritardi e alle inadempienze dell’amministrazione centrale siano state effettivamente compiute delle ‘forzature’ che si configurano come degli illeciti amministrativi; illeciti di cui lo stesso TAR (ed anche il Consiglio di Stato) avevano già riconosciuto le ‘ragioni’, posto che il TAR aveva scritto che Riace stava svolgendo un ruolo positivo con “riconosciuti e innegabili meriti che hanno un ruolo decisivo nel ritenere superate (e non penalizzanti) le criticità”.
Ciò che invece ci preme condividere con voi è la pericolosità dell’effetto - e del messaggio socio-politico-culturale che lo accompagna - che sembra essere stato generato dalla inaudita sproporzione della pena prevista da questa sentenza. Un effetto, non sapremmo dire se politicamente cercato ma sicuramente prodotto, che riassumeremmo come lo scoraggiamento della solidarietà attraverso una sorta di ‘demolizione giuridica’ di quello che è stato definito il ‘modello Riace’ (modello che ha ispirato altre positive esperienze sia in Italia che all’estero). Un modello nato per caso - l’improvviso sbarco sulla spiaggia di una nave di curdi nel 1998 - e le successive manifestazioni di solidarietà locale, ben rappresentate dall’osservazione del giovane immigrato Hassan quando disse ”Questo è un paese di case senza gente, noi siamo gente senza case”. Un modello che come S.I.M.M. abbiamo sempre ammirato e desiderato fosse riprodotto, adattandolo, in tanti altri contesti del nostro Paese nel segno di una accoglienza diffusa e di un riconoscimento dei valori e delle risorse portati dalle persone migranti. Crediamo che questa sentenza non possa che aver suscitato, in tanti amministratori e amministratrici italiani che, in grave carenza di risorse e gravati da continui vincoli amministrativo-burocratici, si sforzano di trovare comunque soluzione a drammatiche contingenze umanitarie coinvolgendo le proprie comunità, un pesante monito a continuare ad agire, oltre che un ulteriore motivo di preoccupazione personale. Ma temiamo che questo messaggio negativo, diremmo quasi paralizzante, possa essere recepito anche dalla società civile, financo dalle persone che sono impegnate sui diversi fronti dei diritti umani. Che si possa realmente rischiare di accettare una ‘narrazione’ capace di disegnare una parabola che trasforma un uomo/sindaco sensibile e accogliente nel capo di un sistema criminale che, attraverso una serie di truffe, ha lucrato sull’accoglienza ai migranti.
Lo smarrimento e la desolazione manifestati da Lucano dopo la lettura della sentenza sono vividamente rappresentati dalle sue parole che aprono l’articolo di Annalisa Camilli: “Ho speso la vita contro le mafie, mi sono schierato a fianco degli ultimi, degli immigrati. Oggi devo prendere atto che ho perso tutto”.
Ecco, crediamo che le donne e gli uomini che sono attivi nella S.I.M.M. non possano non cercare una reazione comune, organizzata, a queste parole di umano sconforto, dette da un uomo da tutti considerato semplice, diretto, come è Mimmo Lucano, anche nel caso che abbia sbagliato. Alcuni di noi possono testimoniare personalmente questa profonda impressione di autenticità e di ingenua concretezza che Lucano trasmette, avendo avuto l’occasione di ascoltarlo o conoscerlo da vicino.
Cosa possiamo fare, quindi, come S.I.M.M.? Valutiamolo insieme, ma diremmo che non possiamo non partire da un rafforzamento condiviso dei nostri valori comuni, delle motivazioni che sostanziano ogni nostra attività e iniziativa. Nel riconoscerci, ancora una volta, parte di quella società umana che, quando si configura un conflitto etico tra ‘legge’ e ‘giustizia’ (si pensi, tra gli altri, ai casi storici del processo a Danilo Dolci, difeso da Piero Calamandrei, o a quello di Pietro Pinna, primo obiettore di coscienza al servizio militare, ‘difeso’ da Padre Ernesto Balducci), sta dalla parte della giustizia (o, per dirla con una citazione evangelica, ritiene che “la legge è stata fatta per l’uomo” e non viceversa). Nel trasmettere a Mimmo Lucano, e a tutti coloro che lo hanno accompagnato e supportato in questi anni (ricordiamo che nello stesso processo ‘Xenia’ altre ventidue persone sono state condannate) la nostra solidarietà e nell’immaginare insieme anche azioni concrete per dimostrarla, come ad esempio l’acquisto in massa del libro pubblicato da Lucano nel 2020 per Feltrinelli ‘Il fuorilegge’ (titolo che, alla luce di quanto detto finora, sembra da intendersi nel senso di ‘fatto fuori, espulso, dalla legge’).
Come non condividere, sul piano morale, le parole degli avvocati difensori Giuliano Pisapia e Andrea Daqua che avevano chiesto l’assoluzione piena di Lucano perché “capace di onorare la Costituzione” mentre lo Stato “si è dimostrato incapace di farlo” ?
Ci è venuto alla mente quando, nel nostro Congresso del 2014 ad Agrigento, parlammo di equità e responsabilità, ricordando la seguente epichéia di Aristotele:
«L’equo sembra essere giusto, ma esso è il giusto che va oltre la legge scritta. Ciò avviene in parte per volere dei legislatori, in parte non per loro volere: il secondo caso è quando sfugge loro qualcosa, il primo quando essi non possano prescrivere esattamente, ma sia necessario dare una formula generale, che non vale universalmente, ma solo per lo più [...] Essere equi significa essere indulgenti verso i casi umani, cioè badare non alla legge, ma al legislatore, e non alla lettera della legge, ma allo spirito del legislatore; e non all’azione ma al proponimento, e non alla parte ma al tutto, e non a come è ora l’imputato, ma come è stato sempre o per lo più». (Aristotele, Retorica I, 1374 a-b).
Non rassegniamoci, non smettiamo di cercare di orientare la società verso tutto ciò che la rende più umana!
10 ottobre 2021
Maurizio Marceca, Mario Affronti, Salvatore Geraci e Marco Mazzetti