Nell’ambito del progetto “Being a migrant woman during disasters”, è stato pubblicato uno studio che indaga la prospettiva di diversi key informants sull’impatto della pandemia COVID-19 nelle donne migranti a Milano. Per questa ricerca, sono stati intervistati 28 professionisti (mediatori culturali, personale sanitario, educatori, ecc.) che hanno lavorato durante la pandemia in 4 organizzazioni del terzo settore (Caritas Ambrosiana, EMERGENCY ONG, DARE ONG, Fondazione Progetto Arca) e in 3 ospedali pubblici (Clinica Mangiagalli, Ospedale Melloni, Ospedale Sacco). Durante la pandemia, le donne migranti sono diventate ancora più “invisibili”. È stato osservato un incremento della violenza di genere, con una diminuzione nella ricerca di aiuto, in contrasto con l'aumento dell'accesso ai centri anti-violenza tra le donne italiane nei primi mesi del lockdown. Le badanti si sono rivelate particolarmente vulnerabili, spesso perdendo il lavoro a causa della morte o del trasferimento in case di cura degli anziani a cui prestavano assistenza, o della scelta degli anziani di evitare contatti per timore di contrarre il virus. In alcuni casi, le loro sono state descritte come “semi-schiavitù”, con divieti di uscire di casa per periodi prolungati, anche quando necessitavano di assistenza sanitaria. La riduzione del reddito ha impedito a molte donne migranti di inviare rimesse alle loro famiglie nei paesi d'origine, provocando un significativo senso di impotenza e frustrazione.
Per un quadro più completo sullo studio, si rimanda all’articolo originale.
Monica Trentin